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La temporalità da Bergson a Proust e Hawking

 

La Temporalità da Bergson, Proust e Hawking

La temporalità da Bergson a Proust e Hawking

La “corrispondenza di amorosi sensi” tra filosofia, letteratura, arte e fisica è presente ne Alla ricerca del tempo perduto di Proust, nell'Ulisse di Joyce, e in fisica: nel primo caso la durée e la memoria dominano le pagine, nel secondo caso il flusso di coscienza dell'irlandese travolge il lettore  infine, nel caso della fisica, il tempo terrestre, nel buco nero, si annulla ed assume uno status del tutto differente dalla temporalità che sperimentiamo nella nostra vita.

Il tempo della scienza e della coscienza

La metafora dello “srotolamento del passato verso il rotolamento del futuro” rappresenta la visione lineare, continua e progressiva del tempo che si dispiega in modo sequenziale, con un passato che si accumula e un futuro che si avvicina: è il tempo della scienza.

Bergson, in contrasto con la concezione fisico meccanicistica del tempo, distingue tra il tempo spazializzato della scienza, la successione di istanti che è spazio omogeneo, calcolabile, misurabile e divisibile ed il tempo vissuto della coscienza,

che chiama “durata” : un flusso continuo e indivisibile di esperienza, in cui passato, presente e futuro si compenetrano e fondono nel tempo vissuto.

Il tempo esperienziale

Nel tempo esperienziale, temporalità interna e qualitativa, è la durée réelle, il tempo come durata reale e flusso continuo, una creazione ininterrotta ed irriducibile alla misura: è il tempo vissuto e qualitativo della coscienza in atto. 

E' l'élan vital, lo slancio vitale, che coglie l’Essere come in Proust nel suo fluire incessante come un nuovo πάντα ῥεῖ eracliteo: «Il fatto che lo scampanellio c’era sempre e che così, tra di esso e l’istante presente, c’era tutto questo passato trascorso in modo indefinito, che io non sapevo di portare con me. Quando c’era stato lo scampanellio io esistevo già e, in seguito, perché io lo udissi ancora, era necessario che non ci fosse stata discontinuità, che neanche per un istante io prendessi riposo, io cessassi di esistere, di pensare, di avere coscienza di me».

La temporalità di Bergson e Proust: la memoria

Il tempo è intreccio di relazioni, tra parola e silenzio, tra visibile e invisibile: le “immagini” di Bergson sono le cose di cui parla Proust: invisibili muri mutano posto in relatività alla forma della stanza immaginata - intorno alle tenebre - e prima che il pensiero riconosca l’abitazione - si ha il ricordo di ogni ambiente, il letto, le porte, l’esposizione delle finestre che si ritrovano al risveglio: la memoria, nel dormiveglia, si configura come chiasma.

«Mi portai alle labbra un cucchiaino di tè dove avevo lasciato ammorbidire un pezzetto di madeleine. Ma, nello stesso istante in cui quel sorso frammisto alle briciole del dolce toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me ... questa essenza non era in me, era me stesso.  Di colpo, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi illusoria la sua brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore... Donde mi era potuta venire questa gioia potente? Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? È chiaro, la verità che cerco non è in essa, ma in me. Il tè l’ha risvegliata, ma non la conosce. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio spirito. È compito suo trovare la verità. Ma come?»

Nel tempo di Bergson e Proust come esperienza vissuta ritroviamo noi stessi: siamo vita, cose e memoria.

L'opera d'arte e la temporalità da Bergson, Proust e Hawking

La dissoluzione del tempo si trasforma in estetica poetica del presente: ogni parola è traccia di un tempo che accade nel dire sé stesso: «Il ricercatore, è al tempo stesso anche il paese oscuro dove deve cercare e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. È di fronte a qualcosa che non esiste ancora e che solo lui può rendere reale. Cercare? Non soltanto: creare». (Proust)

Il tempo di Plescia è un tempo-poesia che non misura ma intona, in questo senso si oppone tanto al tempo cronos quanto a quello teologico-lineare: è il tempo dell’Estraneo di Hölderlin e della temporalità deleuziana che rifiuta ogni concezione cronologica in favore di un tempo della differenza e del divenire.

La creazione artistica non è ripetizione ma slancio vitale, élan vital, cioè emergenza del nuovo che non può essere dedotto da ciò che l’ha preceduto: Plescia, come Bergson, rifiuta una concezione oggettiva e meccanica del tempo, in questa visione il tempo è trasformato in evento di coscienza tempo incarnato nella parola poetica e l’opera d'arte è durata incarnata, forma che emerge non per causalità ma per attanza poetante: “Ogni parola che nasce porta con sé l’infinito del tempo che l’ha generata”. (Plescia)

La creazione artistica è un superamento del determinismo, una fenditura attraverso cui l’essere può ancora “inventare” sé stesso tuttavia, in Plescia, questo non accade non nel soggetto, ma nell’evento ontopoietico dell’opera: la forma non è solo durata, ma destinanza.

La Temporalità da Bergson, Proust e Hawking

La temporalità da Bergson a Proust: ontokairosia e ontocronia

Se Bergson contrappone il tempo vissuto al tempo spazializzato della scienza, Plescia oppone la kairoslogia dell’arte all’ontocronia tecnica della mondanità.

Esistono due piani temporali distinti: il tempo cronologico dell'epistemica e quello dell'opera d'arte che è singolarità e non misurabile, è la differenza tra l'ontokairosia e l' ontocronia.

La kairoslogia dell’arte si oppone all’ontocronia tecnica della mondanità, dalla distinzione tra ontocronia e ontokairosia origina una topologia temporale dell’opera d'arte. 

L'opera d'arte non è mai un’entità chiusa: essa si dà in un tempo proprio, coincidente con il momento kairologico del suo “dis- velarsi”.

Plescia non considera il tempo un contenitore o un dato assoluto, il tempo non è una sequenza ma la profondità dell'istante.

Il suo tempo è: interiore, intensivo, in cui il presente è un’eco del passato e una soglia sul futuro in cui si accampano memoria e attesa: il tempo è l'“istante che dura, è intreccio di relazioni, tra parola e silenzio, tra visibile e invisibile.

La temporalità da Bergson a Proust e Hawking: un cambio di paradigma

I concetti di tempo di Hawking e Bergson segnano il passaggio da una visione del tempo lineare deterministica ad una concezione più complessa e dinamica in linea con la crisi dei fondamenti e l'emergere di una nuova ontologia della physis: un' esplorazione della natura che, da un'idea di ordine e stabilità, assume una visione intrinsecamente caotica, in divenire: un processo aperto e imprevedibile.

Hawking alla 14th International Conference General Relativity and Gravitation di Firenze nel 1995

Sia la visione classica come quella di Newton che considera il tempo come una freccia che si muove dal passato al futuro sia la concezione del tempo come "durata" Bergson sono rimesse in discussione dalla fisica contemporanea e dalla filosofia post-moderna.

Nel suo intervento alla 14th International Conference General Relativity and Gravitation di Firenze nel 1995, Stephen Hawking rivoluziona la comprensione dei buchi neri, da entità implosive a generatori di energia anti-entropica, gettanti flussi nell’universo.

Hawking introduce una rottura significativa con le concezioni lineari e unidirezionale del tempo, una dimensione ove non vige il presente, il passato ed il futuro. il tempo diventa “immaginario” ed apre ad una visione del mondo in cui domina l'instabilità e il cambiamento.

Il Tempo Immaginario: una nuova ontologia

La Teoria del Tempo Immaginario, dispiega una visione in cui il tempo non è più un parametro fisso ma una dimensione dinamica e complessa e diventa un simbolo della possibilità, un campo in cui l'Essere si manifesta in forme diverse e non lineari, una visione che ha profonde implicazioni per la comprensione dell'universo, della realtà, del nostro posto nel mondo: il modello mette in discussione le nozioni di causalità e di divenire e richiama il problema di una nuova ontologia.  

Il modello di Hawking elimina la distinzione netta tra presente, passato e futuro: e porta a una visione del tempo come qualcosa di finito ma senza confini, un tempo pensato come una coordinata spaziale ovvero come le tre dimensioni spaziali: il tempo immaginario rappresenta una rotazione del tempo reale nel piano complesso e lo rende simile a una dimensione spaziale che attenua la singolarità dell'inizio cosmico: “Il tempo Immaginario è la soglia morfogenetica del possibile, è la cronotopia in cui la simultaneità del divenire trova forma.” (Plescia): una trasformazione pari a un evento ontologico.

Il tempo non è come una successione lineare di eventi meramente ciclicama erratica: Hawking ripensa la temporalità come una struttura multidimensionale in cui il passato, il presente e il futuro coesistono in una sorta di simultaneità ontologica.

Il buco nero sovverte il πάντα ῥεῖ, tutto scorre, di Eraclito il suo status è quello di un tempo statico quindi non fluisce, un vero e proprio paradosso per il tempo sperimentato sulla terra: nel buco nero il tempo assume un'"altra" dimensione.

L’orizzonte degli eventi, impenetrabile, diviene: “la soglia dell’inconoscibile, la superficie ek-statica del tempo, dove la materia implode nel vuoto e dal vuoto genera.” (Plescia)

Il chiasma ipospaziale: un meta-modello metabolico

Si può parlare di chiasma ipospaziale: un nodo topologico dove la singolarità non si dissolve, ma si ricompone come campo, lì si trovano le superstringhe morfogenetiche, configurazioni quantiche che agiscono da ponte tra universi o tra diverse topologie di tempo.

Con riferimento alla costante di Planck e alla teoria delle superstringhe di Veneziano, si ipotizza che ogni buco nero contenga in sé un meta-modello metabolico, cioè una struttura generativa capace di nutrire l’universo con energia.

I concetti di tempo immaginario, chiasma ipospaziale e singolarità creano un impianto teorico dove quantistica, topologia e filosofia si incontrano.

Atemporalità e temporalità da Bergson a Proust e Hawking

La visione di Hawking, del 1995, anticipa e richiama la ricerca di Capozziello e De Bianchi per cui i buchi neri sono “senza tempo” infatti “Entrando in un buco nero, il tempo diventa immaginario scrivono i due autori.

“I buchi neri non sarebbero divoratori di materia”, come finora si conveniva, pertanto le “particelle non riescono a entrare nel buco nero” e la materia si accumula intorno ad essi - scrive Capozziello - che aggiunge “Quando si cade verso un buco nero, la velocità si riduce a zero, la curvatura diventa finita ed è impossibile entrare in esso”.

"Se, oltre l'orizzonte degli eventi, il tempo diventa immaginario allora non è più possibile trattare il buco nero come un sistema dinamico e non è possibile, per un qualsiasi oggetto fisico, entrare in esso" (Capozziello).

E' improprio parlare ancora di “orizzonte degli eventi” che, alla luce di questa ricerca, è solo il punto in cui il tempo diventa immaginario: siamo di fronte ad uno status di atemporalità.

La temporalità da Bergson a Proust e Hawking: cronospazialità immaginaria e Planck  

Tra la cronospazialità immaginaria di Hawking e la topologia fluttuante delle dimensioni di Planck (10⁻³⁵ m) Plescia individua una “discrasia”, un vuoto teorico e ontologico.

Questo vuoto è il “chaosmos” che - reso celebre da James Joyce, reinterpretato da Deleuze e Guattari per i quali il divenire è senza fondamento - trova, in Plescia, una densità ontologica per cui il chaosmos è physis animata, materia vivente soggetta a variazioni topologiche che non sono solo geometriche, ma anche ontologiche ed ermeneutiche.

Il chaosmos - non più solo molteplicità differenziale ma luogo della morfogenesi subquarkica - viene riattivato in una veste ontologica: un’entità infinitamente piccola e infinitamente grande, diveniente e metastabile.

La concezione della physis da ordine e stabilità si è trasformata in una visione più caotica e dinamica: questa physis non ha più una natura meccanica.

La dimensione del divenire non è più semplice flusso, ma instabilità metastabile, caos fluttuante e virtuale che si dà come forma emergente.

L’Essere è movimento topologico e fluttuazione ontologica, collocata tra la regione di Planck e la cronotopia immaginaria di Hawking.

La quantistica, la loop quantum gravity e le singolarità chaosmiche 

Per la relazionalità quantistica non esistono entità assolute, ma solo relazioni, le proprietà degli oggetti esistono in relazione ad altri oggetti, non come attributi assoluti.

Il tempo non esiste più come entità e sfondo oggettivo, ma come un tempo emergente dalla relazione tra sistemi fisici e tra eventi: è la loop quantum gravity per cui tempo e spazio sono quantizzati.

La teoria relazionale risuona nella descrizione plesciana delle singolarità chaosmiche che non sono oggetti, ma configurazioni dinamiche, entità senza sostanza stabile, che emergono da una rete dinamica di relazioni dove l’ontologia relazionale viene tradotta in un’ontogenesi supersimmetrica e morfogenetica.

"Ogni singolarità chaosmica è un evento che si apre e si richiude nel campo di una supersimmetria immaginaria". (Plescia)

Il Principio di Indeterminazione come apertura ermeneutica

Il chaosmos invita a un esercizio estremo del pensiero: abitare il vuoto, dare senso all’instabile, attraversare le pieghe del tempo immaginario e delle forme virtuali: pensare l’infinitesimo.

Non si tratta più di interpretare la quantistica come teoria fisica, ma di assumerla come ermeneutica dell’essere:  in questo contesto il Principio di Indeterminazione non viene inteso come limite alla misura e limite epistemologico, bensì come una condizione generativa.

L’indeterminatezza fonda una grammatica del divenire, un'ontologia delle possibilità in cui le forme emergono dal nulla metastabile del chaosmos: diventa modalità propria dell’essere quantico nella quale si dà la possibilità di una interpretazione morfologica del reale subquarkico in cui il vuoto è pensato non come assenza, ma come campo di potenzialità morfogenetiche.

In questo modo, si arriva ad una riformulazione ontologica del Principio di Indeterminazione che diventa un principio d’interpretanza, un'ermeneutica: l’indeterminatezza è apertura semantica.

Se l’osservazione modifica il fenomeno, Plescia sostiene che l’indeterminatezza è il linguaggio dell’essere, il modo in cui la realtà si mantiene aperta all’evento:  l’ermeneutica quantistica è una topologia del possibile, in cui ogni forma è una fluttuazione, una possibilità.

Le entità e gli eventi quantici: morfogenesi e trivarietà

Le entità quantiche non sono sostanze fisse, ma eventi metastabili che si disvelano attraverso un campo di interagenze come, nella quantistica relazionale, accade alle proprietà degli oggetti che esistono solo in relazione ad altri oggetti e non come attributi assoluti.

Il chaosmos, per Plescia, è la matrice dinamica da cui scaturiscono gli eventi quantici: attrattori e attanti, morfogenesi e trivarietà: strutture topologiche a tre dimensioni, animate da fluttuazioni quantistiche e supersimmetriche.

Le strutture chaosmiche si manifestano come trivarietà fluttuanti, luogo di emergenza di eventi subquarkici e virtuali, entità che si costituiscono come singolarità ontologiche nel campo delle possibilità: le varietà sono il teatro di una morfogenesi quantica, dove entità virtuali: arkquark, ontoquark e archiquark prendono forma, orbitano e si dissolvono, costituendo l’ossatura ontologica del vuoto quantico.

Gli arkquark sono definiti come attrattori quantici: centri di morfogenesi che danno forma a stati fluttuanti, gli ontoquark invece sono attanti: soglie di emersione ontologica, eventi che portano all’esistenza le singolarità metastabili.

Il divenire come evento privo di fondamento trova un'analogia nel concetto deleuziano di singolarità, gli arkquark e ontoquark sono eventi ontologici, sono i nuovi singolari deleuziani: non individui, ma processi ontologici, forze differenziali.

L'ontoquark, considerato come attante ovvero come soglia di emersione ontologica, risuona con l' evento relazionale, ciò che esiste è il nodo nella rete, non il punto assoluto: entità ed eventi quantici sono nodi in un campo di interazioni.

La coppia concettuale – attante/attrattore costituisce la dinamica fondamentale dell’ontologia chaosmica: un movimento tra virtuale e reale, tra morfologia e indeterminatezza, tra visibile e invisibile laddove i termini come “attanti” e “attrattori”, sono mutuati dalla semiotica e rilanciati in un contesto quantistico

L'universo ed il tempo originario

L’infinità dell’universo è condizione dell’ontologia quantica: ogni ontoquark genera strutture caosmiche, ogni trivarietà è un campo di forze in trasformazione, ogni singolarità chaosmica è un evento che si apre e si richiude nel campo di una supersimmetria immaginaria.

Il concetto di universo infinito ritorna in morfoquark,  gravifotoni, trisfere animate che richiamano la struttura dell'universo bruniano, dove ogni punto dell’universo è centro e periferia, nodo dell’infinito mai fisso e metamorfico.

La morfologia quantica delle trivarietà chaosmiche è inscrivibile nell'ambito de lla riflessione sul tempo originario e sull’evento dell’Essere, Ereignis, di Heidegger: le trivarietà sono dispositivi ontogenetici, simili all'Ereignis ma radicati nella physis piuttosto che nel linguaggio: l’ontologia quantica è un ermeneutica della physis come fondamento instabile, come abisso da cui sorge ogni forma: un tentativo di procedere oltre l’Essere heideggeriano.

Conclusione: la temporalità da Bergson a Proust e Hawking

Le riflessioni sin qui delineate tramite le morfologie, dispiegano una filosofia della fisica del vuoto: non più spazio neutro, ma un campo ontologico e caos animato dove le interazioni fondamentali - elettromagnetica, nucleare forte, debole, gravitazionale - si disvelano come configurazioni temporanee della realtà fluttuante.

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